
La scientifica a Villa Pamphili Gli esami sugli oggetti e indumenti ritrovati nell’area si faranno la prossima settimana
Una tutina rosa, appallottolata e gettata in un cestino dei rifiuti. E un bracciale di legno nero, di tipo tribale, ritrovato da una giornalista di Mediaset e consegnato alla polizia. Potrebbe essere in questi due oggetti il filo rosso per uscire dal tunnel buio di Villa Pamphili, dove la morte ha lasciato due corpi, una scia di misteri e interrogativi. Una tutina, taglia 6-12 mesi, sfilata in fretta, forse per cancellare prove, forse per nascondere la vergogna. Ma il cotone trattiene segreti: una fibra, un’impronta, un capello potrebbero inchiodare il killer, a questo si aggrappano gli investigatori. E poi intorno al punto in cui c’era il corpo, i resti di una tenda accartocciata e cibo non scaduto. Poco più avanti una sorta di braciere fatto con i sassi.
Sabato pomeriggio, nel cuore verde di Roma, la scena era di quelle che scioccano. Una bambina nuda, morta tra le siepi, a duecento metri dal cadavere della madre, trenta anni o giù di lì. Nessuno le cerca, nessuno le reclama, due invisibili, inghiottite dal verde abbacinante del parco più grande di Roma. La madre, capelli chiari, ha unghie curate e depilazione perfetta (forse fatta con il laser): non è una senzatetto, dicono ora gli inquirenti che hanno trovato, accanto al suo corpo nudo, celato da una grossa busta nera, un reggiseno e un sacco a pelo pulito. Sul corpo ha quattro tatuaggi, due dei quali maldestri o fatti in casa, forse ricordi di un’altra vita, indizio importante per risalire a un nome. Un tatuatore esperto sentito dal Corriere li ha giudicati comuni e fatti male. Ma nei colori del surf imbracciato da quello che sembra uno scheletro (tema classico dei tatuaggi) ha visto la bandiera lituana: collimerebbe con le ipotesi sulla provenienza fatta dagli inquirenti (est o nord Europa).
L’identità non è l’unico enigma. Ancora più sfidante è il mistero sulla causa della morte della donna: nessuna traccia di droga o overdose, nessun segno di violenza, nessuna ferita. Il cuore senza lesioni, nessuna malformazione, organi intatti. Escluso anche il soffocamento con un cucino. La morte è stata improvvisa, forse un veleno? L’autopsia, svolta domenica sera al Policlinico Gemelli, non basta, serviranno altri esami e settimane per avere risposte. La bambina, invece, pare certo, è morta soffocata, strangolata da una mano crudele che non ha avuto pietà. Ecchimosi sulle braccia e sulle manine, graffi. Il male, qui, ha un volto ancora senza nome.
Testimoni raccontano di un uomo che barcollava tra i viali, un fagottino tra le braccia. "Tipo siciliano", dice uno. "Secondo me egiziano", sostiene un altro. Un cappellino con la visiera, lo sguardo basso. Quattro persone lo hanno visto, la notte tra venerdì e sabato, vicino al cavalcavia di via Leone XIII. La piccola, dicono, sembrava dormire, chissà se era già morta. Le telecamere finora non hanno dato molto aiuto, ce ne sono poche e non coprono i 180 ettari dell’immenso parco. C’è chi rovista tra i ricordi e parla di una famiglia accampata tra i cespugli, chi ricorda la donna e la bambina insieme a un uomo dalla carnagione scura. "Tra loro parlavano inglese", sostiene un runner. Nessuna denuncia di scomparsa, nessuna voce che chieda giustizia. Solo la città che osserva, attonita, mentre il giallo della cronaca nera si tinge di dolore.